Stante l’annosa questione attinente all’esclusione dei liberi professionisti, in quanto tali, dall’ambito dei soggetti qualificabili come imprenditori alla luce dell’art. 2238 c.c., decisione di principio del legislatore manifestamente contrastante col dato fattuale che attesta come i requisiti propri dell’attività di impresa ex art. 2082 c.c. spesso ricorrano ugualmente anche nell’ambito dell’esercizio delle attività intellettuali, tra cui quella forense, sin dalla fine degli anni ’30 la formazione di società tra avvocati per l’esercizio della professione fu proibita, ma fu concessa la possibilità di costituzione di associazioni tra avvocati (purché con l’obbligo di adoperare esclusivamente la dizione di “studio legale”, seguita da nome e cognome, nonché dal titolo professionale dei singoli associati, come previsto dalla legge n. 1815/1939).
Per quanto riguarda le associazioni, oggi queste sono disciplinate dall’art. 4 della Legge n. 247/2012 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense). Qui si prevede come gli avvocati, oltre che singolarmente, possono svolgere la professione anche in forma associativa, con altri avvocati, o con altri professionisti in caso di associazioni multidisciplinari. L'incarico è in ogni caso conferito personalmente all'avvocato e la partecipazione all’associazione non può pregiudicare in alcun modo l'autonomia, la libertà e l'indipendenza intellettuale o di giudizio del professionista nello svolgimento dell'incarico: l’eventuale previsione di patti contrari è sanzionata con la nullità. L'avvocato può, inoltre, essere membro di più associazioni contemporaneamente: la legge sulla concorrenza (n. 124/2017) ha fatto venir meno il c.d. vincolo di appartenenza che era stabilito dal comma 4 dell'art. 4 della L. n. 247/2017 (Associazioni tra avvocati e multidisciplinari).
La ratio della previsione in esame è quella di garantire al cliente prestazioni di carattere multidisciplinare, nonché quella di creare sinergie tra varie competenze professionali ed ampliare gli spazi di mercato ed azione dell'avvocatura. A completamento di tale schema, l'art. 2 del D.M. 23/2016 ha individuato le categorie di liberi professionisti, iscritti nei rispettivi albi ed elenchi professionali, che possono partecipare alle associazioni tra avvocati: architetti, pianificatori, paesaggisti, conservatori, assistenti sociali, attuari, biologi, chimici, dottori commercialisti ed esperti contabili, geologi, ingegneri, tecnologi alimentari, consulenti del lavoro, medici chirurghi e odontoiatri, medici veterinari, psicologi, spedizionieri doganali, periti agrari e periti agrari laureati, agrotecnici e agrotecnici laureati, periti industriali e periti industriali laureati, geometri e geometri laureati.
Rispetto all’oggetto sociale, le associazioni possono indicarvi le attività ricollegate all’esercizio delle diverse professioni, incluse quelle attinenti allo svolgimento della professione forense ove almeno un associato sia un avvocato. Presso i consigli degli ordini degli avvocati è istituito un elenco delle associazioni; mentre il domicilio professionale degli associati è istituito presso la sede dell’associazione, e questi, sottoposti agli obblighi previdenziali, potranno stipulare con l’associazione contratti di associazione in partecipazione ai sensi degli articoli 2549 e ss. del codice civile.
Per quanto riguarda le vicende estintive dell’associazione, le associazioni che hanno ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività professionale non sono assoggettate alle procedure fallimentari e concorsuali.
Per quanto attiene al tema delle società tra avvocati, il divieto che ne impediva la costituzione sopravvisse per quasi sessant’anni, fino a quando con la legge n. 366 del 7 agosto 1997, tale divieto fu eliminato, anche se soltanto nel 2001, con il D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 96 (emanato al fine di dare attuazione alla direttiva 98/5/CE), il legislatore nazionale consentì effettivamente di costituire società per avvocati al fine di esercitare la professione forense in forma associata: l’art. 16 del citato decreto sanciva espressamente come “l’attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel seguito società tra avvocati”, rimandando per quanto non ivi espressamente previsto alle “norme che regolano la società in nome collettivo di cui al capo III del titolo V del libro V del codice civile”.
Così si individuò proprio l’esercizio della professione forense in comune come oggetto esclusivo della società tra avvocati (STA), e fu previsto come potessero esserne soci solamente professionisti muniti del titolo abilitante. Tuttavia, al comma 9 dell’art. 10, è stata inserita una clausola di con cui venivano fatti salvi i modelli societari e le associazioni professionali “già vigenti alla data di entrata in vigore” del decreto in questione. Poco dopo seguiva anche l’abrogazione del generale divieto di esercizio professionale di tipo interdisciplinare in forma societaria nel 2006 con la legge n. 248. È qui che, per la prima volta, si concretizza la possibilità di costituire società multidisciplinari (cioè formate da professionisti con competenze diversificate), seppur con l’emergere di una apparente sovrapposizione di disciplina tra la novella e quanto invece previsto nel 2001, a causa della suddetta clausola di salvaguardia. Da tale quadro normativo vi era da evincere la duplice possibilità di costituire, da un lato, società, anche di capitali, tra soci professionisti e soci non professionisti, e dall’altro, quella di costituire la società tra avvocati (limitatamente a quest’ultimi).
Questa bipartizione è stata successivamente superata dall’introduzione, ad opera dell’art. 1 co. 141 della L. n. 124/2017, dell’articolo 4-bis della 247/2012, rubricato “(Esercizio della professione forense in forma societaria)”.
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